Delle drammatiche vicende delle foibe e dell’esodo degli istriani, fiumani e dalmati, che hanno segnato la storia del nostro confine orientale e delle vaste regioni limitrofe (Venezia Giulia, Istria, Dalmazia) negli anni dal 1943, almeno, al 1958, ancora non c’è, in Italia, una vera conoscenza e consapevolezza di massa. Libere, finalmente, dai paraocchi e pregiudizi ideologici, tipicamente otto-novecenteschi (e tipicamente frutto della cultura massimalista comunisteggiante) che, da noi, continuano a condizionare gran parte del dibattito politico-culturale anche sul passato recente..
Su questi temi, fa ora il punto il saggio “Perchè il Giorno del Ricordo” (Roma, Aracne, 2024, €. 20,00): opera degli storici Giovanni Stelli, Direttore di “Fiume.Rivista di studi adriatici” e Presidente della Società di Studi Fiumani- Archivio Museo Storico di Fiume, e Marino Micich, Direttore di questi due organismi e, dal 2004, membro della Commissione governativa per le onorificenze ai congiunti degli infoibati.
Con l’istituzione – decisa appunto dalla legge 94/2004 – del Giorno del Ricordo, rilevano i due Autori nell’Introduzione, la memoria dell’esodo giuliano, istriano e dalmata (in piu’ ondate, dal 1943 al 1958 circa), è diventata, in 20 anni, ufficialmente parte della storia nazionale. Il 10 febbraio scorso, il ministro della Cultura Sangiuliano ha annunciato la creazione, a Roma, di un Museo Nazionale del Ricordo; mentre, sul piano internazionale, il 13 luglio 2020, alla foiba di Basovizza ( che è una frazione nordorientale del Comune di Trieste), l’unica esistente in territorio italiano, s’incontravano costruttivamente Sergio Mattarella e il Presidente sloveno Borut Pahor, avviando nuove forme di collaborazione anche sui temi della memoria.
Nel capitolo I, Giovanni Stelli fa un quadro della storia dei territori dell’Adriatico orientale (Venezia Giulia, Istria, Dalmazia) dal Medioevo al dopo Prima guerra mondiale. Soffermandosi anche sulla politica di assimilazione culturale adottata, nei confronti delle varie etnie presenti in quelle aree, prima dall’Austria-Ungheria, poi dal Governo italiano in epoca fascista; infine, dopo la Prima guerra mondiale, anche dalla neonata Jugoslavia verso gli italiani rimasti in Dalmazia (emblematico. In tutti questi casi, il “balletto dei cognomi” dei cittadini, soggetti a frequenti cambiamenti, dettagliatamente esaminato dall’Autore)..
Dopo l’8 settembre 1943, inizia la tragedia delle foibe: definita, da Stelli, tipica espressione della “pulizia di classe” (e, in parte, anche etnica antiitaliana) pianificata da anni, in piena coerenza leninista, dal Partito Comunista Jugoslavo con la temutissima OZNA, la polizia segreta. Una linea, questa della “guerra di classe”, chiaramente piu’ accentuata che nell’Italia dello stesso periodo 1943-’45: e che ha il pieno appoggio anche di alcuni dei massimi dirigenti del Partito Comunista Italiano (come Pietro Secchia e, in parte, Luigi Longo), pur legati, ufficialmente, all’indirizzo partecipazionista caldeggiato da Togliatti, su input di Stalin, con la Svolta di Salerno del marzo1944.
Stelli ricorda, poi, la tormentata discussione, a Parigi, del Trattato di Pace, firmato il 10 febbraio 1947: con cui l’Italia perde quasi tutta l’Istria, Fiume e Zara, e deve accettare la creazione (che, peraltro, non si tradurrà mai in pratica) del Territorio libero di Trieste, con le due zone “A” e “B” sotto amministrazione militare, rispettivamente alleata e jugoslava. Sette anni dopo, col Memorandum di Londra fra Italia, Regno Unito, USA e Jugoslavia, la zona A , con Trieste, tornerà sotto la sovranità italiana; ma il successivo Trattato di Osimo del 1975 sancirà il definitivo passaggio della zona B a Belgrado.
Nel Capitolo II, invece, Marino Micich precisa che l’esodo istriano, giuliano e dalmata avvenne, diversamente che in altre situazioni storiche, senza che ci fosse stato alcun decreto di espulsione: il che ha permesso per decenni, alla storiografia jugoslava (e, poi, slovena e croata, ma anche, in parte, italiana di area comunisteggiante) di sostenere che la partenza, in totale, di circa 300.000 italiani, dal ’47-’48 sino a ben oltre il ’58, avvenne su base puramente volontaria (il diritto di “opzione cittadinanza” era garantito, agli italiani viventi in quelle terre, dal Trattato di Pace del ’47). L’Autore si sofferma, poi, sulla pluridecennale questione dei risarcimenti (sempre largamente inadeguati rispetto ai beni requisiti) a tutti gli espatriati che furon colpiti dalle espropriazioni decise dal governo titoista: ancora l’ultima legge in materia, la n.137 del 2001, non ha stabilito un coefficiente equo e dignitoso. Micich, infine, esamina le iniziative di dialogo culturale instaurate sin dal 1991, nella nuova epoca del crollo dei Muri iniziata col 1989, dalle associazioni degli esuli fiumani con la città di origine; e sulle altre iniziative promosse, specificamente per le scuole, dal tavolo di lavoro istituito presso il Ministero dell’istruzione.
In conclusione, solo una sincera prosecuzione del dialogo italo-croato e italo-sloveno, lentamente iniziato già negli anni ’90 e poi rafforzatosi dopo il 2000, potrà portare alla definizione, fra i tre Paesi, non di una memoria condivisa (che sarebbe un’utopia): ma di piu’ memorie “riconosciute”, ognuna delle quali – sottolinea Gianni Oliva, giornalista e storico del Novecento, nella Prefazione – riconosca “la legittimità dell’altra per comporre, insieme, un quadro superiore”.
Fabrizio Federici
Fonte: Avanti! – 12/06/2024