Scritto da Alessandro Mezzena Lona
Prima ha dato voce ai suoi fantasmi. Alla sua solitudine di bambino, all’assenza del padre, alla malattia della madre. Adesso, lasciati alle spalle libri belli e dolorosi come Tu che mi ascolti e Lui che ti tradiva, Alberto Bevilacqua ritorna al romanzo. Per raccontare i fantasmi di un personaggio inventato. Di una giovane donna di nome Sara. Quarantacinque anni dopo la Califfa. E quei fantasmi, Alberto Bevilacqua li evoca nel romanzo L’amore stregone (pagg. 280, euro 18,50), pubblicato da Mondadori. Che si svolge quasi per intero a Villa Kar, una casa sul Carso triestino dove Sara impara a crescere lontana dalla sua splendida mamma, Marlene, e dal suo papà, che è un divo del pianoforte, della musica classica. E proprio lì, in quel lembo di Carso tormentato e incantato, Sara cresce tenendo testa a una coppia di zie che non la amano, come non amano sua madre. Imparando a conoscere uno zio che morirà troppo presto e la porterà, in un lungo viaggio, lungo la Slovenia, la Dalmazia, fino a Sarajevo, a scoprire le luci e le tenebre della vita. E a guardare in faccia gli orrori della guerra nei Balcani. Le doti stregonesche di Sara, la sua capacità di guardare la vita negli occhi, di sentire le cose prima che si realizzino, di far convivere le fantasticherie con la realtà, la porteranno a superare le ossessioni erotiche che le rovescia addosso il giardiniere Max. La spingeranno a scoprire da sola l’incanto dell’amore, dell’attrazione carnale. Fino a quando sarà pronta a incontrare di nuovo i suoi genitori. Prendendo il posto della madre accanto al padre.
«Trieste, l’Istria, la Dalmazia, sono luoghi che conosco bene – spiega Alberto Bevilacqua -. Mi sono sembrati perfetti per ambientare la storia di Sara, che cresce in una famiglia travagliata. E che si trova a gestire i suoi sortilegi interiori, prima di entrare nel grande turbine della vita, in un ambiente tormentato e bello come quello del Carso».
Il romanzo si svolge al tempo della guerra nei Balcani?
«Sì, infatti lo zio Samuel porta Sara con sé in un viaggio che attraversa la Dalmazia, la Croazia, fino a Sarajevo. Dove la ragazza vede da vicino gli orrori della guerra».
Per lei, c’è un legame forte con queste zone?
«Direi di sì. Per un matrimonio che poi è finito: la mia ex moglie era di origine dalmata».
Dicono che lei preferisca i personaggi femminili…
«Non è proprio così. E l’ho dimostrato in parecchi libri. Per esempio Umana avventura, a cui sono molto legato, credo metta in primo piano sia uomini che donne. Certo, magari non è uno dei miei libri più noti».
Però al cinema hanno lasciato il segno le sue donne: Romy Schneider, splendida Califfa.
«Sì, ma quelli erano esperimenti, Con alcuni scrittori europei, come la Marguerite Duras della Diga sul Pacifico, negli anni Settanta abbiamo provato a raccontare sullo schermo, con un altro linguaggio, alcune nostre opere narrative. Miniaturizzandole. Rendendole appetibili per il pubblico del cinema. Trasformando in visioni quelle che anche sulla carta erano visioni».
Da dove nasce il personaggio di Sara?
«È una ragazza che, al nostro tempo e con altre sembianze, assomiglia a quella che è stata la Califfa. Cioè, una che ha sviluppate tutte le qualità che ogni essere umano dovrebbe possedere, se non le avesse dimenticate. Qualità che io, già nel titolo, definisco stregonesche».
E cioè?
«È una donna che sa leggere nei fatti al di là della realtà. Del resto, è stata educata alla bellezza da una madre, donna di grande fascino che la lascia molto presto, e da un padre eccellente pianista, capace di istruirla alle meraviglie della musica.».
Vive continue avventure tra la realtà e l’immaginazione?
«Tra la realtà e la psiche, direi io. L’immaginazione di Sara è sempre un’anticipazione di quello che accadrà per davvero. Questo è il lato stregonesco delle cose. E, poi, lei si trova a vivere tutte le condizioni che le si presentano. Prima fra tutte la solitudine, quando i genitori la abbandonano nella grande villa sul Carso. E poi, la scomparsa della madre. L’incapacità del padre di amarla».
Per lui è solo una fonte d’ispirazione?
«Sì, una bellissima fonte d’ispirazione. E in mezzo a tutto questo, Sara si trova a dover fronteggiare anche il giardiniere Max, che la perseguita con i suoi impeti sessuali negativi. Certo che Sara vive la sua vita alla massima potenza»
La solitudine dei figli: un tema che lei ha vissuto sulla propria pelle.
«Ho dovuto conoscere la solitudine fin da piccolino. Quando mia madre si è ammalata di una grave forma di depressione, a causa della vita dura che facevamo. È guarita soltanto poco prima di morire. Anche Sara ritroverà Marlene, la madre, verso la fase finale della sua maturazione».
Uno dei momenti più intensi della storia?
«Sì, quando Sara ritorna a vivere con il padre, ormai solo. Ed è spinta ad assumere il ruolo che accanto a lui avrebbe dovuto avere sua madre, a cui la ragazza assomiglia molto».
Perché ha voluto tornare al romanzo?
«Negli ultimi anni ho badato soprattutto a raccontare le cose mie. Della mia famiglia, di mia madre. Con L’amore stregone ritorno alla narrazione in un mondo che io avverto accartocciato, scheggiato. Che si accontenta di un clima da basso impero. Anche nell’erotismo, mi sembra che ci si limiti ad andare al ribasso».
Sara è diversa dal mondo che ci circonda?
«È un personaggio di grande forza. Ha il coraggio di vivere. E tutte quelle qualità che il nostro tempo ha perduto».
Fonte: «Il Piccolo», 11/11/09.