Fu dalla Slovenia che, in tempo jugoslavo, arrivarono le più irriverenti rimostranze nei confronti della cosiddetta “staffetta di Tito” e della Giornata della gioventù. Ci pensarono in particolare i giovani di Neue Slowenische Kunst e di Novi kolektivizem
Il rito cominciò nel 1945, quando su iniziativa dei giovani di Kragujevac le prime “staffette” vennero consegnate nelle mani del presidente Josip Broz – Tito. La cerimonia imitava il viaggio della torcia olimpica, che veniva passata di mano in mano prima di andare ad accendere il braciere. Lo scopo era quello di celebrare il compleanno del despota jugoslavo, che era stato arbitrariamente fissato il 25 maggio.
Nel 1957, quella che fino a quel momento era la “staffetta di Tito” divenne la “staffetta della Gioventù”. L’idea era quella di celebrare Tito, ma anche i giovani su cui sarebbero dovute poggiare le sorti della Jugoslavia socialista. Migliaia di ragazzi, in tutto il paese, tra bandiere e folle festanti, si passavano il testimone che alla fine arrivava allo Stadio dell’Armata popolare jugoslava a Belgrado, dove il padre padrone della Jugoslavia attendeva che la staffetta gli venisse consegnata da un giovane accuratamente selezionato. L’ultima gli venne portata da Sanija Hiseini, una studentessa di medicina di Pristina, che in albanese pronunciò parole che si sarebbero rivelate “profetiche”: “Né oggi né domani né mai nessuno può spezzare questa terra e questo popolo”. Correva l’anno 1979. Lo stadio era gremito. Il pubblico scandiva a gran voce lo slogan “Noi siamo di Tito – Tito è nostro”. 10.000 giovani, pionieri e miliari avevano allestito un imponente saggio ginnico, sulle note di una canzone scritta per l’occasione “Tito è il nostro sole”.
Fu l’ultima staffetta che venne consegnata nelle mani del Maresciallo, l’anno successivo la corsa venne interrotta a causa della sua morte. Il rito però non si fermò, ma in assenza di Tito e con una Jugoslavia che stava andando in frantumi, assunse connotati addirittura più agiografici. Nel 1983 si era persino fatto scendere dal cielo una figura di Tito di cartapesta. La cosa non mancò di destare qualche perplessità, soprattutto in Slovenia, dove ci si chiese apertamente se si stesse celebrando un uomo o una divinità. L’anno successivo si ipotizzò di inscenare la battaglia di Drvar, uno dei miti della guerra partigiana, con tanto di paracadutisti e carri armati; ma il vero momento topico sarebbe arrivato quando un attore mascherato da Tito, sulla sua Mercedes nera, sarebbe dovuto entrare allo stadio per distribuire caramelle ai bambini. Il gran finale prevedeva persino l’ingresso del treno presidenziale nello stadio.
Dalla Slovenia, dove da tempo si cominciava a manifestare sempre più fastidio per queste manifestazioni, si disse che se si fosse messa in scena una cosa del genere non ne avrebbe riso solo tutta la Jugoslavia, ma anche tutto il mondo. Le autorità cercarono di non far trapelare il balzano progetto, ma i giornali sloveni non mancarono di metterlo in ridicolo. In Slovenia, dove le maglie della libertà e della critica al regime si stavano sempre più allargando, cominciò a prendere corpo la proposta di abolire il rituale, tanto che all’Università di Lubiana venne addirittura organizzata una petizione che raccolse 850 firme. La cosa non fece che infiammare il dibattito, visto che nel 1986 proprio agli sloveni venne affidato il compito di organizzare la “solenne cerimonia” della partenza della staffetta. Nel dicembre di quell’anno, per celebre la giornata dei diritti umani, venne organizzata una “staffetta alternativa”. Nel campus universitario venne portato un tronco di quattro metri e i giovani studenti, con seghe circolari e con altri strumenti, passarono il tempo a “lavorarlo”, prima di mettersi a ballare “come indiani” intorno a quella simbolica staffetta e pronunciare una serie di discorsi che mettevano in ridicolo la cerimonia, che chiedevano il riconoscimento di uno status particolare ai prigionieri politici, che volevano l’introduzione del servizio civile e un referendum conto le centrali nucleari. La cosa non mancò di suscitare sgomento nel resto del paese, da dove si levarono a gran voce richieste di punire gli autori di un simile scempio nei confronti di uno dei simboli più sacri dell’unità e della fratellanza. A Lubiana nessuno torse un capello agli ideatori di quella protesta, che in altre zone della Jugoslavia sarebbe stata duramente repressa.
Intanto lo spettacolo andò avanti e la Lega della Gioventù slovena affidò l’organizzazione dell’evento alla Neue Slowenische Kunst, un gruppo artistico, che era diventato con le sue contestazioni e la sua messa in ridicolo della natura “totalitaria” del regime, uno dei riferimenti culturali dei giovani sloveni. Venne ideato un megalomaniaco progetto che avrebbe dovuto costituire l’apoteosi delle espressioni artistiche di “retroguardia culturale”. La staffetta avrebbe dovuto arrivare dal cielo da Tricorno al lago di Bohinj dove ci sarebbe dovuta essere una imponente celebrazione. I costi e il “misticismo” della cerimonia erano tali, che ben presto gli organizzatori vennero invitati a elaborare qualcosa di meno dispendioso. A dare il colpo di grazia alla staffetta, però, ci pensarono i grafici di Novi kolektivizem, i ragazzi – legati alla Neue Slowenische Kunst – idearono un manifesto con un giovane virgulto munito di bandiera jugoslava, talmente pomposo che piacque moltissimo a coloro che dovevano selezionare la migliore soluzione grafica. Gli autori, però, si guardarono bene dal dire che avevano preso a modello un poster della Germania nazista, dove si erano limitati a sostituire i simboli del regime di Hitler con quelli jugoslavi. Quando ci si accorse di quello che avevano fatto ne nacque uno scandalo di proporzioni inenarrabili. Fu metaforicamente l’ultimo chiodo nella bara di un rituale oramai morto. La staffetta quell’anno partì comunque, ma fu anche l’ultima volta. L’anno successivo venne cancellata con il consenso di tutti su proposta della Lega della Gioventù della Vojvodina. A più di quarant’anni di distanza Sanija Hiseini, la giovane albanese che consegnò l’ultima staffetta a Tito fa il medico in Canada.
Stefano Lusa
Fonte: Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa – 25/05/2022