7 L’Istria nel “DE SUMMA TOTIUS ORBIS”. Pietro Coppo, 1525
Il documento è una stampa da intaglio in legno, su doppio foglio di carta di filo, con il disegno cartografico incluso in un rettangolo delimitato da un grosso rigo. Misura mm 255 x 336. In alto, sopra il margine, compare la scritta: “SERENISSIMO P[RINCIPI] [ET] D[OMI]NO EXCELL[ENTISSI]MO D[OMINO] ANDREAE GRITI INCLITO DVCI VENETIARVM [ET CETERA] ISTRIA”. Nell’angolo inferiore sinistro abbiamo l’indicazione dell’autore, “F[ecit] petrus coppus”, ed, al centro, la data di esecuzione, “IMPRESSA ANNO MDXXV”. È priva di graduazione di scala e otto simboli ed iniziali di punti cardinali, presso i margini permettono di stabilire che l’orientazione è con il NNE in alto.
Questa di Pietro Coppo è la più antica carta regionale a stampa dell’Istria che sia nota; la raffigurazione, infatti, che porta la data del 1525, che si conservava in un unico esemplare nella Biblioteca Civica a Pirano ed è oggi custodita nel Museo del Mare “Sergej Mašera” della città slovena, è una delle quindici carte geografiche, tutte da intaglio in legno, che figurano annesse al codice manoscritto intitolato Petri Coppi De Sum[m]a totius orbis,.
L’autore è un personaggio assai noto perché ne parlano, più o meno ampiamente, molte opere di storia della geografia e della cartografia, per cui può risultare importante oltre che interessante conoscere appieno la sua multiforme attività. Il Coppo era veneto (nato a Venezia nella seconda metà del 1469 o all’inizio del 1470) e trascorse gran parte della sua vita a Isola d’Istria, dove svolse una brillante attività pubblica e dove morì nel dicembre del 1555 o nel gennaio del 1556. Gli si devono alcune opere che incontrarono presso i contemporanei e i posteri molta fortuna e che oggi sono divenute assai rare: una descrizione dell’intero mondo conosciuto, intitolata De toto Orbe, corredata di 22 tavole geografiche generali e particolari; un Portolano edito a Venezia nel 1528 da Agostino Bindoni, con sette carte; il sommario De summa totius Orbis, appena ricordato, nonché il Del sito de Listria, stampato a Venezia nel 1540 da Francesco Bindoni e Maffeo Pasini, che è la più antica descrizione corografica della penisola istriana.
Del De toto Orbe si conoscono copie manoscritte che si conservano nella Libreria dell’Archiginnasio di Bologna (Cod. A.117) e nella Biblioteca Nazionale di Parigi (Fond. Lat. 9663). Quest’ultima contiene anche il Sommario, sia in latino che nella versione italiana (però priva di carte), e il Portolano. Della Summa, oltre al codice piranese, nè esiste uno nella Biblioteca Marciana di Venezia, sprovvisto pure questo di raffigurazioni.
Procedendo nell’analisi di questo ragguardevole documento, va subito assegnato all’Autore il merito di offrire una configurazione della penisola istriana sostanzialmente assai vicina a quella reale. Nell’orientamento, nel disegno delle coste e dell’idrografia, nella raffigurazione plastica, nella collocazione delle sedi, si registrano, ovviamente, dei difetti, talora anche marcati, ma nessun’altra rappresentazione cartografica, almeno allo stato attuale delle conoscenze, potrebbe proporsi con una tale ricchezza di preziose particolarità. La rappresentazione è assai nota ed è stata già indagata da numerosi studiosi come il Cucagna (1964, pp. 30-39), l’Almagià (1929, pp. 14-18), il Marussi (1946, pp.13-14), il Degrassi (1924, pp. 319-374) prima dello studio curato da Luciano Lago e Claudio Rossit (1984-1986).
Il disegno si segnala subito per l’originalità della sua composizione, poiché rappresenta le coste adriatiche settentrionali dal por[to] de grado sino oltre la città dalmata di segna, e include tutta l’Istria, con piccoli lembi delle regioni finitime. La penisola si allunga, malamente orientata, seguendo un’asse che va, all’incirca, da NNO a SSE, ma presenta evidenti rispondenze con la realtà nella forma, ben affusolata, e nei singoli tratti costieri. A questo proposito va segnalato come la parte nord-occidentale della penisola riservi una interpretazione così precisa da avvicinarsi addirittura ad una visione tridimensionale. Solo il disegno del Canale di Leme, che è troppo prolungato verso l’interno ed orientato in modo errato, nonché i contorni dell’apice meridionale e del Quarnero settentrionale, individuato dalle solite falcature dei documenti tolemaici o nautici, lasciano a desiderare. In quest’ultimo caso probabilmente il Coppo ebbe notevole difficoltà nell’esperire con rilievi diretti tale zona poiché spesso flagellata dai venti di bora e caratterizzata per lunghi tratti da pericolosi gorghi.
La raffigurazione del rilievo presenta aspetti contrastanti: ad una eccezionale compattezza di alte montagne nel retroterra fiumano, che manca di ogni aderenza con le reali forme del terreno, o, meglio, con le forme di dettaglio, fanno riscontro il corretto andamento della catena dei Vena che culmina nel monte mazor (Monte Maggiore, l’elevazione maggiore della penisola con i suoi 1396 metri), il valido tentativo di rendere la movimentata morfologia della cosiddetta Istria Gialla tra Capodistria e il corso della Dragogna (Dragonja), e la preziosa rappresentazione, eccezionalmente chiara, della continuità morfologica del Canale di Leme con la valle secca di Canfanaro. Colpisce, inoltre, la singolare presenza di una valle, priva di simboli rilevatori di corsi d’acqua, che si allunga, con un ampio arco, dalle falde del Monte Maggiore sin là dove compare la parola uipao (Vipacco). Questa potrebbe forse identificarsi con quella depressione carsica, scientificamente nota con il nome di Solco di Castelnuovo, lungo la quale corre la strada che da Trieste porta a Fiume che pur allungandosi troppo in quanto comprende anche la valle del Vipacco, appare l’ipotesi più verosimile.
Particolare attenzione è dedicata, poi, al reticolo idrografico, che non presenta omissioni di rilievo. Vi sono delineati il Timavo inferiore, la Rosandra, il Risano (Rižana), quel breve torrente che esce in mare a Strugnano, la Dragogna, il Quieto, l’Arsa, l’Eneo o Rjé?ina, nonché, nell’interno, alcuni corsi d’acqua, uno dei quali dovrebbe essere il Foiba. Gli errori, come quelli di assegnare al torrentello di Strugnano un corso troppo lungo, al Quieto un’eccessiva ampiezza e un’inspiegabile interruzione, al Rjé?ina un errato tracciato (determinato, forse, dall’impreciso disegno di tutta la costa liburnica), si fanno dimenticare quando si considerano le intuizioni come quelle relative al fiume Arsa che nasce correttamente dal lago de cosliach (il lago di Cepich o d’Arsa, bonificato negli anni Trenta), o quelle relative al corso del torrente Foiba che s’inabissa presso Pisino nella nota fovea (la foiba).
Il maggior pregio di questo documento consiste nella straordinaria ricchezza che presenta il quadro dell’insediamento umano. Il Coppo ha annotato un gran numero di toponimi, per lo più corretti, ed ha reso riconoscibili i diversi tipi di sedi umane, riportando addirittura i molini, le chiese isolate, le osterie, e così via. Le città, i centri che erano sedi vescovili, e le terre, le cittadine cinte di mura, che nell’Istria veneta erano rette da un podestà, sono facilmente individuabili perché i toponimi figurano scritti in stampatello maiuscolo.
Una c minuscola accompagna i castelli, mentre una v minuscola, con due punti ai lati, identifica le ville, cioè quelle sedi rurali più grandi e antiche che godevano di una certa individualità giuridica. Più difficile è stabilire lo status di quelle sedi semplicemente indicate dalla sillaba co chiusa tra due punti, che compaiono abbastanza numerose nel Carso di Parenzo, di Rovigno e di Pola. Potrebbe essere l’abbreviazione della parola cortina, termine derivato da curtis, che designava piccole sedi rurali, quelle, cioè, che non erano ville. La posizione geografica di tutte queste sedi risulta, di norma, corretta lungo la fascia costiera, mentre appare errata e, in molti casi, discutibile nelle aree interne ed in particolare in quella parte dell’Istria che apparteneva all’austriaca Contea di Pisino.
Ma, questa carta, è una fonte inesauribile di informazioni anche per altre ragioni: indica infatti le saline, le fontane presenti lungo la costa, alcune fornaci, alcuni ponti, addirittura una spelu[n]ca (è la nota grotta di San Servolo presso Trieste, che fu a lungo meta di pellegrinaggi), e dei sepulchri presso Parenzo, evidentemente quelli di Vilpurga a Azzica, che si ritrovano anche nel documento di Fra’ Mauro. Nel complesso, dunque, è una raffigurazione assai preziosa, che rivela un’eccellente, quasi eccezionale conoscenza della penisola istriana. Questa carta, il più antico documento regionale dell’Istria rimastoci, detterà la supremazia per quasi un secolo e sarà destinata ad influenzare anche il disegno seicentesco dell’“ISTRIA, olim Iapidia” del Magini. Per la ricchezza delle particolarità nella raffigurazione della costa, lungo la quale, secondo il Cucagna “non si limita a segnalare la presenza di scogli e secche, di approdi o canali navigabili, ma anche informa dove si possa trovare dell’acqua potabile, dove ci si possa ristorare essendo lontano dai centri e anche su quali edifici notevoli (chiese, monasteri, ecc.) si possa fare affidamento per orientarsi con rapidità”, nonché per la cura impiegata nell’identificazione delle diverse sedi umane, la carta sembra prefiggersi lo scopo di servire ai naviganti e di poter essere anche uno strumento utile per le autorità civili e militari.
La rappresentazione fornisce elementi certi per supporre la sua derivazione, diretta o indiretta, da due fonti principali: in primo luogo, da accurati documenti nautici e, in secondo luogo, da uno o più rilievi ufficiali dello Stato veneto, d’interesse, ad un tempo, amministrativo e militare. Questi materiali risultano qui fusi in una sintesi magistrale, che solo un autore di notevoli capacità come il Coppo “istriano d’elezione, attivo, intelligente”, avrebbe potuto realizzare. Se, invece, dovesse aver limitato il suo impegno ad una semplice riproduzione fedele, gli resta, comunque, il merito di aver prescelto un ottimo documento. [C.R.]