Questa carta dell’Adriatico di derivazione gastaldina, stampata da Paolo Furlani è conservata all’Università degli Studi di Trieste presso il Dipartimento di Scienze geografiche e storiche. In alto, a sinistra, una targa triangolare reca la dedica: Ai Mag[nifi]ci Sig[no]ri miei osser[vatssi]mi, il Sig[n]or PIERO BADOERO, et il sig[no]r ANTONIO DIEDO. Paolo Forlani ed una lunga legenda precisa: Il GOLFO DI VENETIA […]. Sul lato opposto, in alto a destra, una piastra della stessa forma porta la scritta ALLA LIBRARIA DELLA COLONNA IN MERZARIA, l’indicazione della scala e dell’incisore con la data di esecuzione: Intagliato da Paolo Forlani con ogni diligenza l’anno M.D.LXVIII., ma va segnalato però, che l’ultima cifra, più grande rispetto alle altre, sembra aggiunta successivamente tanto da far supporre che il rame originale recasse la data del 1567. Secondo la consuetudine delle raffigurazioni nautiche all’interno del mare Adriatico e dello Ionio da cinque punti si dipartono le linee che consentivano i calcoli matematici per il documento. Poco a nord della BOCA DEL GOLFO (Canale d’Otranto) appare una scenografica rosa dei venti che fornisce l’orientazione.La carta nella sua interezza richiama i materiali nautici ed in particolare la tavola stampata da Giovanni Andrea Vavassori nel 1539, per la caratteristica raffigurazione dell’Adriatico che appare allungato da sinistra a destra.
Il documento risulta organizzato in due fogli che raffigurano il primo le terre italiane e balcaniche sino all’arcipelago delle Ionie e in particolare sino a Corfù, mentre il secondo la parte orientale del Mediterraneo. Tale prodotto, intagliato su legno, occupa un posto di rilievo nel percorso delle scienze cartografiche, poiché è la prima edizione a stampa che si conosca di una carta nautica. Nonostante la sua impostazione poco felice, dovuta allo stiramento e all’orientazione della penisola e del COLFO DI VENETIA, ebbe notevole fortuna, come del resto accadde per quasi tutte le sue realizzazioni cartografiche, tanto che se ne contano numerose ristampe ed anche contraffazioni e soprattutto una considerevole e continuativa influenza sulle rappresentazioni successive (Almagià, 1929, pp. 27a e 30a; Cucagna, 1964, pp. 22-24; Lago, Rossit, 1981, Tav. XXX, pp. 60-61).
Per quanto concerne i territori di nostro interesse, l’autore identifica con la scritta ISTRIA l’intera penisola e con quella di DALMATIA solo ed esclusivamente le zone più meridionali della parte orientale dell’Adriatico ed in particolare il tratto costiero compreso tra la penisola di Sabion (Sabbioncello) e la Bocca de cataro (Canale di Cattaro). Il coronimo LICHA è collocato alle spalle della catena dei Velebit in modo piuttosto corretto e quelli di CROVATIA e BOSSENA figurano nelle aree continentali. L’apparato orografico risulta inesistente come di consuetudine in documenti di tale tipologia, a differenza di quello idrografico che, seppur scevro degli idronimi, cartografa, in maniera abbastanza corrispondente, la realtà composita delle diverse zone, seppur con qualche imprecisione. Sono riconoscibili: i fiumi Zrmanja, che in modo errato viene unificato con il Lika, emissario del Kruš?i?ko jezero, che però viene localizzato troppo a nord; il Krka con i suoi particolari bacini lacustri; il Cetina presso Almisa (Almissa); nonché il corso della Narenta, poco ad est della penisola di Sabion (Sabbioncello). È possibile ancora identificare il fiume Trebisnjica che bagna la città di Tribigna (Trebinje) e il corso del Drin; non risulta invece agevole identificare il tracciato che compare in prossimità delle città di Chinchia (?) e di Grao (Gradac).
Nella penisola istriana, invece, non appaiono segnati né il Risano (Rižana) né la Dragogna (Dragonja) e tutti gli altri riportati, sono privi di idronimo, come quelli del Golfo del QVARNER, il Rje?ina e la Dubra?ina. La linea di costa, articolata e copiosa d’indicazioni, non corrisponde tuttavia per andamento, proporzioni e caratteristiche morfologiche alla realtà; anche in questo caso, però, il documento riserva caratteristiche contrastanti a seconda delle zone rappresentate per cui non si può dare una valutazione univoca. Infatti, se la penisola istriana al di là di qualche imprecisione risulta sufficientemente corretta, il litorale della Morlacca, invece, è caratterizzato da un’eccessiva frastagliatura, così come il delta narentino dà origine in maniera poco verosimile ad una pronunciata ingolfatura.
Proseguendo nell’analisi si può constatare ancora che le ingolfature antistanti Sebenico, Spalatro e Cataro presentano un disegno piuttosto corretto, mentre il Colfo de Ludrin, invece si distingue negativamente per un considerevole prominenza e per un’orientazione poco felice. L’esasperata ricerca di rendere golfi, baie, e insenature, riconducibile all’ispirazione nautica del documento, potrebbe in parte spiegare le parti poco convincenti della carta che si preoccupa di ritrarre ogni area territoriale che potesse esser utilizzata come un porto sicuro. Anche nella delineazione dell’Arcipelago, per molti aspetti risulta lacunoso e poco convincente, si possono ritrovare caratteristiche antitetiche. Diverse realtà insulari non vengono riportate e quelle presenti, spesso, non rispettano forma, dimensione e collocazione geografica. I nesonimi accompagnano quasi tutte le isole ad eccezione di quelle prospicienti Zara e Sebenico. Tra i centri abitati figurano sia quelli di maggiore importanza che quelli secondari, cartografati indistintamente con la stessa tipologia di prospetto. La nomenclatura si presenta in lingua italiana mista ad elementi toponomastici slavi (Rossit, Selva, Umek, 2007, pp. 58-59). [D.U.]