La carta ritrae l’Adriatico secondo il consueto orientamento da nord-ovest a sud-est ed è tratta da Lo specchio del mare, atlante-portolano del Mediterraneo pubblicato nella sua prima edizione a Genova nel 1664 ed in seconda edizione nel 1679.
Poco si conosce su tale capitano genovese Francesco Maria Levanto, che “a sue spese” fece incidere le più accreditate carte nautiche disponibili sul bacino del Mediterraneo dell’epoca. Le scarne notizie ci informano che l’atlante – di pregevole fattura – presenta alcuni di questi documenti elaborati negli anni precedenti dallo stesso Levanto insieme ad altri tratti da un’opera olandese, De Lichtende Colomne ofte Zeespigel, pubblicata una ventina di anni prima da Anthoni Jacobsz e riutilizzata in seguito da numerosi altri cartografi (Goos, Donker, Tohrnton, Van Keulen ed altri). Infatti, la prima carta dell’Autore reca la seguente illuminante dicitura: costruite in Amsterdam et corrette dal Cap. Francesco Maria Levanto et a sue spese intagliate l’anno 1663.
L’Atlante, dedicato al nobile savonese Giovanni Battista della Rovere, fu pubblicato a Genova da Gerolamo Marino e Benedetto Celle. Tale opera descrive le isole e le coste del Mediterraneo in dodici dimostrationi, corredate da carte nautiche e da illustrazioni raffiguranti panorami di coste e vedute di porti. Nell’introduzione, l’autore illustra i vari metodi per calcoli astronomici oltre a riportare in cinque tabelle le latitudini di numerosi porti. Il corredo delle carte si apre con due portolani generali del Mediterraneo, uno dedicato alla parte occidentale, l’altro al mare di levante, per poi poseguire con 25 fogli nautici numerati ciascuno raffigurante il tratto di costa descritta nella dimostratione che la segue. In tutte le carte sono presenti i principali toponimi e una serie di simboli (piccole ancore per i punti di approdo, crocette per gli scogli pericolosi, punteggiatura per i bassi fondali, una o più rose dei venti), mentre in un apposito riquadro, viene riportata la scala grafica in diverse misure, leghe olandesi, miglia italiane, leghe inglesi e francesi.
Concludono ciascuna dimostratione le tabelle che riportano le distanze tra i principali luoghi espresse in leghe italiane ed una sequenza di vedute delle coste. Nonostante l’opera non avesse avuto grande fortuna all’epoca, forse perchè riconosciuta come poco originale dai cartografi coevi, il Coronelli – che quasi certamente non conosceva il modello e le derivazioni nordiche – la volle inserire nel suo Atlante Veneto, come ultimo volume dell’edizione del 1698 (Valerio, 2002, p. 91).
La carta nautica qui riprodotta – numerata con il 14 in un piccolo riquadro nell’angolo inferiore destro – presenta un profilo costiero poco curato e l’immagine generale dell’Istria, della costa dalmata e del litorale albanese appaiono piuttosto peggiorative rispetto ad altri documenti coevi.
L’imprecisione del tratto si traduce anche in un corredo toponomastico scarno, presente solo nei suoi tratti essenziali ed incentrato prevalentemente nell’elencazione dei nomi delle città costiere (Parenzo, P. Re, Zeng, Zara, Sebenico, Spolata, Ragusa, Dulcigno, ecc.) e delle principali isole (I. de Pago, I. Longa, I. Lesina, I. Meleda, ecc.). Pochi sono i richiami ad altri elementi morfologici della costa, rari gli acronimi (C. Cesta, C. de Redoni) ancor meno gli ormonimi (Bocca di Catarro, P. Palermo), del tutto assenti i talassonimi e i diaplonimi. Il territorio continentale è privo di nomi, se si fa eccezione per alcuni coronimi che appaiono però collocati in modo approssimato: molta enfasi viene data al nome DALMATIA, che occupa un vasto brano del territorio interno, mentre la scritta Croatia appare marginale e con una grafia più piccola collocata vicino alla regione montuosa del Velebit; il nome regionale della Craina è posta in corrispondenza di Cattaro (Catarro), dunque ben più a sud rispetto alla corretta posizione nella Dalmazia settentrionale; lungo le coste albanesi, la scritta latina GRAECIA PARS richiama le indicazioni proprie delle carte tolemaiche senza menzionare però il nome proprio della regione schipetara.
Da notare nel territorio istriano, oltre all’identificazione toponomastica, la presenza di due elementi che non appaiono altrove: il tracciato dell’unico corso d’acqua rappresentato, corrispondente al fiume Quieto (oggi Mirna) e la presenza del disegno prospettico di un rilievo tra Parenzo e Rovigno, identificato con il toponimo di M. Caldera che appare, dunque erroneamente collocato (Rossit, Selva, Umek, 2006, pp. 118-119). [D.U.]